Una vita tra Los Angeles e Roma, da Sandokan a Hollywood: Roberto Bessi

Una vita tra Los Angeles e Roma, da Sandokan a Hollywood: Roberto Bessi. Il mondo del cinema è pieno di sfumature, brillante e controverso, glamour e oscuro. Dentro al suo labirinto si possono incontrare anche persone aperte, curiose, che ti arricchiscono per il loro sguardo. Così è Roberto Bessi, produttore creativo esecutivo, cresciuto in un mondo di cinema. Ha lavorato a decine e decine di film, tra cui Ladyhawk di Richard Donner, con Michelle Pfeiffer, e A Good Woman di Mike Barker, con Helen Hunt, Scarlett Johansson e Tom Wilkinson. Impossibile scrivere di lui una breve biografia.

Lo incontro bevendo una tazza di tè, immergendoci nel passato, proiettati nel futuro.

Come sei arrivato al mondo del cinema?

Mio padre era direttore di produzione di De Laurentis ed era un caro amico di Fellini. Andavo sui set dei film con lui. Fellini voleva sempre sapere un mio parere, quando avevo solo 11 anni.

Sei conosciuto per il tuo lavoro nei grandi film americani, ma so che hai avuto un ruolo chiave nella produzione di una serie che ha segnato la mia vita da ragazzina, Sandokan. Ci puoi raccontare di quell’esperienza?

Mi chiesero se volevo cominciare a lavorare nel primo Sandokan, a 23 anni. Arrivai a Singapore supervisore di questo progetto. L’organizzatore si sentì male, cominciai a prendere in mano l’avventura.  Un anno di avventure tra India, Malesia e Thailandia, era il 1975.

Come avete girato la famosa scena della tigre? Non c’erano gli effetti speciali di oggi.

Avevamo addestrato una tigre – cominciò ad essere libera e a saltare sui tripodi. Diventò talmente selvaggia che anche il suo domatore aveva paura. Lavorando sugli effetti speciali in blue back, escogitammo questo sistema: con la macchina da presa ad hoc 35mm, facemmo la tigre che saltava da uno sgabello a un altro, un arco preciso. Poi nel mio studio col blue back, facemmo saltare la controfigura acrobata. Lavoro complesso.

Le ricostruzioni storiche sembrano molto accurate, è vero?

Novarese si occupava dei costumi ed era il production designer. Faceva le ricerche delle etnie locali. Ogni cosa era stata ricostruita in modo preciso: i vestiti di Sandokan, di Yanez etc. La sartoria era a Bombay.

Roberto Bessi

Dopo il successo mondiale della prima serie, arrivò la seconda. Fu più semplice girare?

Per il secondo Sandokan, non fu lo stesso. Dopo il successo aumentò la troupe: 80 persone, enorme, rimasero tutti bloccati a Singapore perché sbagliarono i visti. Mi chiamarono perché conoscevo autorità locali. Portai con me le bobine del Sandokan originale, in 16mm.

La Malesia è composta di sultanati: io ho avuto una relazione simpatica con la figlia del sultano di Jorhor Bahru. Sono andato lì e mi sono presentato al palazzo reale di Kuala Lumpur dicendo: “May I speak to the king?” Lui era stato molto contento perché ero stato un gentleman con la figlia, mi accolse e fece una proiezione a tutti i dignitari malesi del primo Sandokan e poi gli chiesi: “Me vuoi sblocca’ sti 80 permessi?” In una notte, sbloccò tutto.

Dalla Malesia sei arrivato a Hollywood. Come è andata? Una vita tra Los Angeles e Roma, da Sandokan a Hollywood: Roberto Bessi

Andai a Los Angles con Richard Donner, il regista di Superman, per impostare il primo lavoro che fu Ladyhawke. Fu in parte ispirato da una favola ladina, delle vostre Dolomiti.  Ricostruimmo la sceneggiatura, aggiungendo il ladruncolo. Suggerii Rutget Hauer, che avevo conosciuto in India, aveva fatto da poco Blade Runner. Stava in una house boat. Girammo in Italia, nei castelli, in Abruzzo. La cattedrale della scena finale fu costruita a Cinecittà. Fu la prima volta che Fendi organizzò una sfilata sul set. La protagonista era Michelle Pfeiffer. Abbiamo mantenuto un lungo rapporto di amicizia.

Tantissimi i film a cui hai lavorato, saltiamo decenni per arrivare a “A Good Woman”.

A Good woman, Le seduttrici di Mike Barker, tratto dal Ventaglio di Lady Windermere di Oscar Wilde, con Scarlett Johansson ed Helen Hunt. Lo girammo tutto a Ravello e Amalfi. Era ambientato negli anni Trenta. I  costumi erano molto belli. Mio figlio, Simone Bessi, gestisce un azienda di nome AnnaMode: ha in collezione 500.000. Tra gli abiti di scena trovi Maria Antonietta, Hotel Budapest, La Bella e la Bestia, Cenerentola, Piccole donne

Qualche altro flash tra i ricordi dei grandi del cinema con cui hai lavorato?

Feci un film come direttore di produzione, era Cassandra Crossing, del 1976 diretto da George Pan Cosmatos. C’era Sofia Loren che era la moglie del produttore Ponti, Burt Lancaster, Richard Harris, OJ Simpson, Ava Gardner, Ingrid Thulin. Il mio lavoro era: a chi dovevo portare i fiori per prima alle attrici? Se li portavo prima a una, si offendeva l’altra. Simpatia ed empatia poche.

In questo tempo buio per in cinema e per la cultura, c’è un messaggio di speranza?

Speranza. La intravedo ricordando quando mi ha chiamato Elisabetta Bruscolini che era responsabile della struttura del Centro Sperimentale di Cinematografia. Mi ha chiamato per fare il produttore delegato e selezionare le opere prime dei ragazzi del Centro. Ho prodotto con loro dei film, che sono andati tutti molto bene: 10 inverni di Valerio Mieli, con Michele Riondino, con Edoardo De Angelis Mozzarella Stories, con la fotografia di Ferran Paredes Rubio, Il terzo tempo.

Si tornerà in sala? In modo diverso. Non ci sono vie di mezzo. Who knows?

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